giovedì 5 febbraio 2009

Vorrei solo partire

Vorrei solo partire. Ricominciare d’accapo. Tutto nuovo. Come quando resetti il computer: quello che è importate lo reinstalli o lo salvi su un cd. Il resto semplicemente lo elimini. Come se non fosse mai stato.
Per un po’ ci credo e questa fede mi da buon umore e nuove forze. Poi mi scontro con la realtà, con le mie paure e con le altre persone che con poche e semplici e indiscutibili parole ti ributtano la faccia nel fango, tanto per ricordarti dove sono i tuoi piedi.
Ed hanno ragione: la fede è solo una fuga, il non voler affrontare la triste realtà. Un trucchetto della mente per far sì che tutto cambi nella fantasia ma che tutto resti com’è nella realtà. Ed io sono una specialista in questa specialità!
Però così mi scoraggio! E dico: “ecco, ora avete esposto il mio punto debole e tutto il dolore che lo accompagna; e ora chi se lo gestisce questo bel malloppo?”. Ma è solo questione di poche ore, di qualche pianterello e di qualche muso lungo un po’ più lungo del solito, e poi tutto torna come prima.
La brava Stefania ritorna alle faccende quotidiane, tira le tende, stende i vestiti, prepara una bella torta al cioccolato e va a dormire, come se nulla veramente fosse mai accaduto, come se quel dolore sentito sia solo il pianto immotivato di un bambino un po’ stanco.


mercoledì 4 febbraio 2009

Sono vittima di un complotto!

Sono vittima di un complotto! E credo anche di sapere chi sia il “complottista” bastardo!
E’ possibile che non trovi più nulla nella mia stessa casa? Ho perso due ore della mia vita a cercare i referti medici che avevo così accuratamente conservato. Ma dove??? Dove sono finiti? È successo l’altro ieri, ed oggi di nuovo a non trovare la ricetta medica nuova per comprare le medicine. Ma che faccio, me la mangio la carta, io? E magari di notte, in pieno sonnambulismo? A proposito. Ogni tanto ripenso ai dolcetti della befana che avevo, anche quelli, ACCURATAMENTE conservato. Dove cavolo sono finiti??? Spiriti mangioni e golosoni! Ladri di caramelle, vergognatevi!
E poi basta con questa storia della macchina: è possibile che ogni giorno, uscita dal lavoro, non la trovo mai dove l’avevo parcheggiata?! Per non parlare delle amnesie che mi provocano gli gnomi dello smog ogni volta parcheggio: compro il pane ed esco, sicura e con un grissino in bocca, giro a destra e dopo dieci minuti mi fermo e dico “ma dov’è?”. Il vuoto. Non mi ricordo dove ho messo la macchina tre secondi fa. E quello stronzo del verduraio che ride a vedermi tornare indietro e girare a sinistra!
Oppure la mattina, dopo la doccia, vado dritta nello stanzino e poi mi fermo inebetita: che devo fare? Cretina! Sei nuda, in accappatoio dentro la stanza armadio: forse dovresti vestirti? Il fatto è che perdo colpi, mia cara me. Almeno prima dimenticavo eventi eclatanti del passato (del tipo: ti ricordi quel compagno di scuola alle medie con cui sei stata insieme? – No! - Ma come? Il tuo primo bacio con la lingua! – Ma chi, io? -).
Adesso invece quelle cose lì me le comincio a ricordare (mi fece una tale schifezza quella lingua estranea dentro la mia bocca) mentre cala il velo sulle cose di oggi, scende il buio sulle chiavi di casa che, ovviamente, dopo aver svuotato tutta la borsa, si trovano, come al solito, nella tasca del cappotto.
E il “complottista” bastardo se la ride, perché spera in questo modo che nulla di nuovo accada, solo il passato che si ripete. Ma non avrà il mio scalpo! Sono pronta a dimenticare pure il mio nome ma non scorderò mai più il mio vero sé.

martedì 3 febbraio 2009

Shopping

Sono andata a fare shopping con un amico. Va bene! Abbiamo avuto una storia, ma adesso è finita. No, davvero! E’ solo che l’esistenza ci costringe per qualche ragione a rimanere vicini. Come se le nostre anime non abbiano ancora completato fino in fondo il motivo che le ha fatte incontrare, come se ci fosse ancora qualcosa in sospeso che io e lui dobbiamo ancora imparare e possiamo farlo solo l’uno dall’altra, e non saremo liberi l’uno dall’altra finché non lo capiremo, questo qualcosa.
Ad ogni modo, siamo andati a fare shopping e mi sono accorta che mi piaceva, che stavo bene: non ero tesa come al solito, muta e arroccata sulle mie motivazioni. Mi piaceva guardare e scegliere le cose insieme, mi piaceva cercare i maglioni che gli piacciono per farglieli provare. So come gli piacciono: semplici, senza scritte, a girocollo, leggeri, senza colori sgargianti e possibilmente a tinta unita, arancio, verde, ma soprattutto giallo. A lui piace il giallo. Poi le scarpe: a pianta larga, color cuoio e soprattutto leggere. Niente carri armati o stivali o punte esagerate. Subito dopo... aspetta un attimo, torna indietro, ho detto giallo... ma certo il giallo, lui adora il giallo! Forse è per questo che ci siamo incontrati!
E’ impossibile negare che siamo molto simili nella personalità: stessi meccanismi, stessi punti d’ombra, stesse tendenze. Così simili che a volte mi sembra di guardarmi allo specchio quando lo vedo agire, di rivedere me, tanto le parti che detesto quanto quelle che adoro e che mi/lo rendono amabile. E adesso colgo anche l’aspetto karmico, per così dire: si, il giallo, il colore della gioia che ci è stata negata da piccoli, che ci neghiamo da adulti (dico quella vera, quella che spara dal cuore come una bomba atomica), la gioia del proprio sé, la luce che abbiamo regalato - per amore -, accettando di oscurarla con un panno nero per non abbagliare gli amati, loro che avevano bisogno, da parte nostra, di una presenza silenziosa e accomodante, di una presenza-assente che li rendesse sicuri nella loro insicurezza e protetti nella loro cieca ordinarietà.
Sono andata a fare shopping con un amico. Lui ha comprato mille cose, io ho avuto il coraggio di proporre una sola gonna per me. E quando mi ha detto: “dai comprala, perché a te stanno bene le gonne”, non ho saputo trattenere le lacrime, espressione di un dolore che si risveglia, paradossalmente, proprio quando da fantasma vengo per un attimo vista in controluce.

sabato 31 gennaio 2009

Tempo

TEMPO PERSO. TEMPO TUO. TEMPO MORTO. TEMPOREGGIARE. TEMPO INFINITO. NON HO TEMPO. CHE TEMPO FA. TEMPO LIMITE. TEMPO SCADUTO. TEMPI DURI. TEMPI BUI. TEMPISMO. LA BANCA DEL TEMPO. TEMPORANEAMENTE. CHI HA TEMPO NON ASPETTI TEMPO. TEMPI MIGLIORI. I VECCHI TEMPI. SENZA TEMPO. TEMPO RECORD. BRUTTO TEMPO. BEL TEMPO. QUANTO TEMPO? TANTO TEMPO. POCO TEMPO. MOLTO TEMPO. TEMPO FA. TEMPO RALE. IN TEMPO REALE. IN TEMPO. UN TEMPO. AI MIEI TEMPI. BEI TEMPI. RISPETTA I TEMPI. COI TEMPI CHE CORRONO. DAMMI TEMPO. PREVISIONI DEL TEMPO. SPAZIOTEMPO. IL TEMPO SCORRE. TEMPO ASSOLUTO E TEMPO ILLUSORIO. TEMPO SOGGETTIVO. IL TEMPO PASSA. QUANTO TEMPO E’ PASSATO? TEMPO CICLICO. TEMPO DI RISPOSTA. NELLO STESSO TEMPO. TROPPO TEMPO. TEMPO LIBERO. TEMPI STRETTI. IL TEMPO DELLE MELE. QUANTO TEMPO E ANCORA. IL TEMPO, CAMBIA MOLTE COSE NELLA VITA. PRIMO TEMPO. SECONDO TEMPO. TEMPO DETERMINATO. TEMPO INDETERMINATO. VIAGGIO NEL TEMPO. NON C’E’ PIU’ TEMPO. ADESSO. ADESSO E’ PROPRIO TEMPO DI ANDARE.


venerdì 30 gennaio 2009

Guai

Cantava il buon vecchio Vasco: “non sono gli uomini a tradire ma i loro guai”. Mai come oggi, stanca di una giornata trascorsa a fare mille cose, ma non abbastanza, mi sento vittima dei miei guai e schiacciata dalla tristezza.
La verità è che è tutto sbagliato e che ci viene richiesto troppo di più di quello che possiamo dare. E finiamo con il vivere una vita stupida a correre dietro a mille cose senza mai sentirci pienamente a posto.
Mi trincero nelle mie piccole e grandi difficoltà personali e nel frattempo mi accorgo di scivolare in mezzo a mille incontri, a mille opportunità, che hanno veramente senso. Non ho chiamato una persona con la quale si era aperto uno spiraglio di vera comunicazione, ho trascorso ore con le mie migliori amiche ma non siamo riusciti a fare incontrare i nostri cuori, ho perso di vista una cara amica in difficoltà, non sento da settimane amici a cui voglio bene e con cui avrei voglia di scambiare le nostre esperienze, non sono vicino a mio fratello e non so essere di supporto ai miei genitori. Anche il cane mi scodinzola invano nella speranza di qualche coccola.
Vorrei avere la casa in ordine, cucinare sempre buone pietanze, avere il tempo di leggere dei libri, prendermi cura del mio corpo, dormire a sufficienza, guardare un film. Vorrei tanto esercitarmi nel canto e magari riprendere a studiare pianoforte.
Intanto vado a lavoro contro voglia, faccio la spesa di fretta, arrivo tardi agli appuntamenti, parlo e vedo amici, parenti e conoscenti senza scendere in profondità.
Faccio di tutto un poco e quel poco male. Che tristezza... ma che razza di vita è questa?


lunedì 26 gennaio 2009

Kali

Si spogliò nuda. Il corpo in faccia: le gambe, i seni, la fica. Non le scarpe. Gridava e capiva ogni cosa. Fuori arrivavano solo le lacrime, gli occhi spalancati ed una violenza determinata. Ogni poro della pelle e dell’anima gridava, gridava e odiava, indistintamente.
Era capace di fare di più e di più, al di là di ogni loro aspettativa, di ogni loro più recondita fantasia. Era capace di creare odio puro: un liquido denso, nero, vischioso. Qualcosa che impregna l’aria e l’immerge. Qualcosa di pesante ed irrespirabile. Qualcosa che sembra la fine, un ricordo di cui non ci si può più dimenticare.
Si spogliò nuda. Ed era come un animale in trappola: nessuna speranza, scacco matto, morte sicura. E allora esprime il meglio di sé, tutte le forze insieme, per l’ultima morte - la fine è certa - per l’ultimo gioco in cui non c’è vittoria, né rivincita. Ma che la fine non lasci alcun residuo di sé, che sia totale, con tutto il cuore e lo spirito. Fine totale, che non nasconda il rischio di una speranza o l’oscenità di una rinascita.Pensò a Shiva in quel momento. Nuda e con la violenza in corpo: il simbolo della distruzione creativa, figura di quel gioco che si ripete noiosamente ad ogni masturbazione maschile.
Pensò a Shiva e rise della sua innocuità: parte del gioco, polo del cerchio, distruzione ingannevole che finge e invece dà la vita.Kali, invece, Kali è la vera essenza della distruzione.Sentiva Kali in quel momento. Nuda, il corpo in faccia: le gambe, i seni, la fica. Non le scarpe.
Era esattamente come lei. Il motivo della rabbia si perde quasi subito. Il click della follia. La ragione non è parte del gioco. Non c’è gioco, invero. Ma non è stata distrutta. La distruzione è Kali stessa, con testa e ossa e pugnali insanguinati nelle mani. Kali, che nella paura degli uomini si arresta, per amore, ma che nella verità dei fatti rimane una pietra ferma. Nuda, il corpo in faccia, e teste mozzate tra le mani.
Nessun’altra immagine di Kali è mai stata realizzata. Il continuo nessun uomo potrà mai raccontarlo.

venerdì 23 gennaio 2009

Mandala

A volte la nostra mente, i nostri pensieri, le nostre azioni e l’interazione con il mondo esterno creano un gran pasticcio, tanto che non riusciamo più a venirne a capo.
E’ così facile prendere una parte e considerarla il tutto. Diventiamo come dei corpi con un piede enorme o una testa così pesante che ci fa piegare in giù o, ancora, con una pancia così grossa che non ci permette di muoverci liberamente. A volte capita pensando a se stessi, altre volte guardando il mondo in cui viviamo o addirittura l’universo intero.
Oggi, chissà per quale ragione, in un momento di caos, mi sono trovata a guardare il mandala appeso nella mia camera da letto. E in un solo istante il caos è svanito.
Il mandala, se prendiamo ad esempio quelli tibetani, è un qualcosa di altamente sofisticato, con delle precise regole, dei significati ed elementi simbolici pazzeschi, ed è frutto di tradizioni millenarie che si tramandano per generazioni.
Ma la sua magia sta nel creare una risonanza nel sistema di chi lo guarda o di chi lo crea, una risonanza che riporta all’ordine e all’armonia, senza bisogno di fare niente di speciale o di sapere o di capire. Basta semplicemente guardarlo e l’essere si rilassa, ritorna al suo posto, acquisisce la giusta prospettiva e gode di quella incredibile magia di movimenti di colori statici che danzano, pur rimanendo immobili.
Che bello guardarsi allo specchio, di tanto in tanto.

mercoledì 21 gennaio 2009

America

Sebbene io non guardi più la televisione oramai da tempo e mi tenga ben lontana dai quotidiani e dalle riviste di attualità (quel poco che mi serve per restare in contatto con il mondo lo prendo direttamente da internet) e sebbene fossi a conoscenza della festa per l’insediamento di Obama, questo evento di per sé non aveva suscitato in me alcun interesse tale da richiedere approfondimenti specifici. Ma si sa, viviamo in un mondo globale, e quindi, mentre me ne stavo tranquilla a fare la spesa in un piccolo supermercato, sono stata coinvolta nella cronaca accalorata dell’evento americano e catapultata nell’emozione eccitata e piena di speranze di questo popolo per molti versi così distante da me.
Ogni Paese è portatore di qualità e difetti specifici che lo caratterizzano e gli danno forma (mi chiedo ancora quale sia al momento la qualità specifica del popolo italiano) e l’America, lasciatemi essere banale, né ha uno che è assolutamente da apprezzare: l’ENTUSIASMO.
E’ una nazione oramai alla frutta, con problemi diffusi sia dentro che fuori, sia generali che particolari, ma nonostante ciò ha la forza di crederci ancora una volta, di lasciarsi prendere dall’emozione e rivivere il sogno della possibilità. La possibilità di un mondo migliore, di un mondo nuovo, di un mondo perfetto dove regni per sempre la giustizia ed il bene. In quei momenti lì ogni difficoltà sembra superabile, ogni problema risolvibile, perché è arrivato l’uomo nuovo, l’incarnazione perfetta di tutti i singolarissimi e gli individualissimi desideri degli americani.
E’ come immedesimarsi in un film – ovviamente hollywoodiano – e diventare quella realtà e lasciarsi trasportare da essa. Che poi duri un minuto o un anno, che poi sia solo immaginazione o fumo, questo è irrilevante. L’importante è crederci!

P.S. - Vi immaginate lo squallore di un Berlusconi o di un Napolitano day? Rassegniamoci: il sogno, non fa proprio parte delle nostre qualità di italiani.


martedì 20 gennaio 2009

Preghiera

Scrivo l’indescrivibile e mi rivolgo alla luce del vostro cuore.
Che il vapore leggero e caldo o anche il piccolo fiume di pianura che emanano nell’universo, in eterno, risveglino anche solo per un istante tutti i sensi del cuore di ognuno.
Così che ognuno sentirà di nuovo - che la sua mente lo sappia o no - la dolcissima sensazione dell’infinito amore che ci sostiene, ci supporta e ci ama senza condizioni.

lunedì 19 gennaio 2009

Ancora sui camaleonti

La “liscìa” (= voglia di ridere) non mi è ancora passata dall’ultimo post sui camaleonti, segno dei tempi che corrono dentro questo povero essere abbandonato sulla terra (cioè me stessa).
Insomma, affronto una nuova giornata da camaleonte più consapevole e mi succede che l’intera Natura mi si rivolta contro, come se tutto d’un tratto avessi involontariamente interrotto il millenario processo della catena alimentare e scatenato quindi un pandemonio tra tutte le specie viventi: peggio dell’estinzione delle muffette alpine nella bora equatoriale del Massachusetts. Una vera CATASTROFE!
Il risultato di questo irreparabile danno all’ecosistema universale è tutto sintetizzabile in alcune freddure appena appena partorite dalla mia labile testolina.
  • Qual’e il colmo per un camaleonte che ha smesso di cambiare colore? Sentirsi dire: “Sei cambiato, non sei più lo stesso!”.
  • La moglie camaleonte dice al suo compagno: “Uffa, ma non cambi mai!”.
  • Il colmo per un camaleonte incazzato. “Guarda è rosso dalla rabbia!”. “ Ma no! Sarà poggiato su qualcosa di rosso!”.
  • Un camaleonte alla sua innamorata: “Ti amo così come sei!!!... Scusa, ma qual è il tuo vero colore?”.
  • La maestra ad un camaleontino: “Vuoi smetterla di cambiare colore?! Distrai i compagni!”.
E dopo questo penso che posso ritirarmi a vita privata...

domenica 18 gennaio 2009

La sindrome del camaleonte

Di sicuro sto esagerando, ma le coincidenze si fanno sempre più schiaccianti ed i raptus cutanei sempre più frequenti ed evidenti. Sono infatti convinta di essere affetta da una malattia rarissima non ancora scoperta e di cui ancora non esiste la cura.
L’ho chiamata sindrome del camaleonte, anche se, da quello che leggo, i camaleonti nella realtà sono molto meno camaleonti di me e possono assumere un range assai limitato di colori, per lo più legati all’umore (arrabbiato, agitato, tranquillo, ecc.). Io invece mi trasformo con più facilità e sono molto sensibile all’ambiente in cui mi trovo, proprio come Zelig di Woody Hallen.
Fino a quando si tratta di accenti - perché se mi trasferisco a Milano dopo pochi minuti comincio a parlare milanese o se frequento degli americani il mio inglese diventa inspiegabilmente e marcatamente con quella cadenza lì - o di abbigliamento, è una tendenza ancora accettabile. Diventa però insopportabile quando scopri che i tuoi movimenti sono quelli di un’altra persona, e che le frasi, l’intercalare, il sistema di pensiero non ti appartengono affatto.
Sarà pure una coincidenza ma una mia amica mi ha detto di essere incinta ed io ho avuto un ritardo di 14 giorni. Subito dopo a mio cugino gli è venuto su un brufolo enorme che non è andato via per settimane ed il mio viso si è riempito di brufolini!!!!
Ovviamente la domanda che sorge è: ma io chi sono veramente??? E sebbene tale domanda sia, diciamo pure, definitiva (e non solo per me), in questo momento mi viene da ridere e mi arriva l’immagine di una fatina, assai birichina, che allegramente gioca a nascondino tra i mille colori e le mille sfumature di un grande arcobaleno.

venerdì 16 gennaio 2009

Il tofu

Il tofu, ragazzi, è una bestia davvero difficile da domare! Se dovessi selezionare il miglior cuoco del mondo, di sicuro chiederei come prova finale quella della preparazione di un piatto a base di tofu.
Non so se vi è mai capitato di incontrarlo durante una delle vostre scorribande culinarie. Adesso fa molto chic frequentare ristoranti vegetariani, vegani, venusiani! E mi auguro per voi di non averlo mai assaggiato puro, magari scambiandolo per un innocuo pezzo di formaggio. Il sapore e l’odore del tofu, infatti, è per tutto uguale ad una busta di plastica, né più né meno.
Il tofu, o CAGLIO DEL FAGIOLO, è un cibo assai comune in oriente ed è derivato dalla cagliatura del latte di soia. Da quelle parti è utilizzato da millenni e ne esistono diverse varianti: secco, poroso, liofilizzato, aromatizzato.
Da queste parti, per quanto mi riguarda, ha motivo di esistere solo in quanto portatore di una buona quantità di proteine. Non è che sia una vegetariana convinta, anzi continuo a mangiucchiare carne qualche volta e mi piace anche il pesce, ma rabbrividisco all’idea di come vengono allevati gli animali (dal modo in cui vengono mantenuti in vita alle porcherie che gli fanno mangiare o gli siringano nel sistema) e del mare in cui vivono oramai i beneamati pesciolini. E allora preferisco comprare il tofu.
Questa sera, per esempio, come se non conoscessi la bestia, ho aperto una busta di caglio di fagiolo di soia alla piastra e l’ho semplicemente scaldato, accompagnandolo con dell’insalata verde. Non ho neppure messo un filino di salsa di soia, che in genere aiuta, è ne ho preso un cubetto. Ragazzi che bestia! Ed io più dello stesso tofu! Perché mi faccio del male da sola???
Il tofu, con un po’ di buona volontà, può essere gradevole. Basta marinarlo il più possibile con aromi, olio, limone e salsa di soia, oppure inserirlo in zuppe e sughi molto saporiti e abbondanti o ancora, e questo è il mio piatto preferito, schiacciandolo per bene in un soffritto di cipolle, carote, zucchine e spezie orientali (cumino, curcuma, peperoncino, zenzero, e altro).
In questo modo mangerai il tofu; e sarà anche un’esperienza piacevole, se saprai restare concentrato su tutto il resto e cercherai invece di ignorare quei pezzi (più o meno grandi) di un nulla consistente che completa la pietanza.

giovedì 15 gennaio 2009

Rabbia

Non vi capita mai di desiderare di gridare in faccia contro un’altra persona e di farlo così forte e di dire tutto quello che vi passa per la mente senza alcuna censura? Per come funziona il mio sistema, a me capita raramente.
La rabbia è sempre accompagnata da una molle Valeriana che mi fa subito vedere le ragioni e le motivazioni degli altri, poveretti.
Da alcuni giorni, però, credo che la dolce Valeriana sia andata in vacanza e mi ha lasciata sola con il mio disappunto. Ogni parola o gesto del mal capitato di turno mi provoca un contorcimento delle budella che reprimo malamente e che si esterna subito con risposte acide, volutamente aggressive, ma che nascondono invero pensieri ben più terribili e distruttivi.
E’ possibile che nessuno riesca a sfuggire ai giochi del proprio egoismo? E’ mai possibile che nessuno si accorga di me e della mia esistenza a prescindere da se stessi? Perché è questo che più di tutto mi ferisce: vedermi calpestata e dimenticata nel nome santo dell’amore, del dovere o del piacere.

mercoledì 14 gennaio 2009

Il bambino e la cassiera

Mi è salito un ricordo, come un rigurgito dopo aver ingerito una combinazione di cibi o bevande tra loro incompatibili. Riguarda un evento che, pur essendo recente, avevo completamente dimenticato.
Ho fatto la cassiera, per poche settimane, ed è stata un’esperienza incredibile in tutti i sensi. L’episodio che vi voglio raccontare risale proprio a quel periodo ed è accaduto mentre stavo lavorando. Era uno di quei pomeriggi quando non hai neppure il tempo di fare la pipì e la fila di gente che aspetta di pagare si perde lontano ed hai la sensazione che non finisca mai (più che una sensazione è la pura realtà).
In quelle giornate lì, non puoi neanche alzare la testa, non un solo pensiero riesce a passare tra un resto da dare ed un prodotto da conteggiare. Sei stanca, la schiena è a pezzi (purtroppo in quel poco tempo non sono riuscita ad imparare l’arte del lavorare seduta su quelle diaboliche sedie da cassa) e diventi definitivamente un automa, una macchina, un braccio del sistema senza più anima – e penso a Marx.
Tu non sei più una persona e le persone che ti passano davanti non lo sono più neanche loro, non le vedi più come umani, non scambi sguardi né sorrisi, non senti neppure gli insulti o le battute dei coglioni. Ogni tanto l’occhio ti va sul tuo collega accanto, anche lui in modalità auto, o sul solito scassapalle che grida cercando una scusa per litigare col capo reparto. Ma è solo un rumore di sottofondo, una digressione involontaria. Tutto è assolutamente spento, senza vita.
Ad un certo punto faccio pagare una famigliola con un bimbetto di circa due anni. I bimbi, quando non sono fuori di sé, e a ragione, per essere costretti a frequentare questi luoghi di Satana, sono immuni dall’annichilimento generale.
Questo bimbo mi guarda ed io gli sorrido. E mi si scioglie il ghiaccio dal cuore. Mi chiede il mio nome ed io rispondo. La signora mi saluta, io ricambio e faccio ciao con la manina al piccoletto. Poi mi giro e ritorno ad essere una macchina, ancora, diretta verso il prossimo cliente.
Con la coda dell’occhio però avverto un movimento strano dentro il mio spazio vitale: è quel bambino! Mentre i suoi genitori sono già in prossimità delle porte automatiche si avvicina a me, da dentro il mio box, allarga le mani, mi abbraccia forte per alcuni secondi e mi dice: “ciao Stefania”.

martedì 13 gennaio 2009

Desiderio e giudizio

Vi propongo due citazioni pazzesche nella loro apparente banalità, ma non rivelerò la fonte.
Una è tratta da un libro che ha in copertina la foto di un carissimo amico e per autore un folle da catene che, se capiterà qui per caso, si riconoscerà e allora - già me lo vedo - tirerà fuori quel suo sorriso enigmatico, tirato e freddo e sarà felice di ricordarsi di me e del mio amico e del delirio in cui ci coinvolgeva.
L’altra è una traduzione non precisa di un “pesantone” dall’aria di bambino che mi ha condotto in dimensioni dell’essere stupefacenti, più vere del vero.
  1. “Desiderare equivale a rifiutare; desiderare è il pensare che il presente sia incompleto, significa tendere all’immaginario: ed è proprio questo che non ti permette di essere”.
  2. “Quando giudichi, svaluti te stesso. Non accetti la realtà in cui sei ora e ti sminuisci. Vuoi continuare a lamentarti o preferisci muoverti nella direzione della luce e della benedizione?”.
Non so quante volte, durante la giornata, mi sorprendo a desiderare e a giudicare. In alcuni momenti mi sembra che i miei pensieri non producano altro che questo: desideri e giudizi, giudizi e desideri. Buoni, cattivi, innocui, generali, particolari, verso me, verso l’altro, rivolti al cielo, alla terra, a Dio. Non puoi liberartene, non puoi decidere o scegliere di non giudicare o non desiderare, perché sarebbe un altro giudizio ed un altro desiderio ad aggiungersi alla lista. Allora cado nella disperazione di chi si sente in trappola e non ha la minima idea di come uscirne.
In rari casi, invece, discende il dono della pace e tutto sembra naturale. E non perché sia perfetto o in accordo alle nostre aspettative, ma solo in quanto è, e basta. Allora ogni cosa sembra che accada in armonia con tutto l’universo: non sei più separato ma punto indispensabile di una danza cosmica che si perpetua da sempre.

lunedì 12 gennaio 2009

Nulla da vedere in TV

E' ancora presto per andare a dormire.
La luna, da una parte, come terra di desideri e ricordi lontani. Limpidi e chiari, ma lontani. Alcune stelle brillano qua e là, come lampioni stupidi. Fermi e stupidi, sparsi a caso per dare un senso al cielo, coperchio di una scatola fatta di palazzi e antenne.
Niente di più, niente di meno.
È ancora presto per andare a dormire. E non è una buona cosa...
Quando è presto per andare a dormire e non c’è nulla da vedere in TV e non hai voglia di leggere e non c’è nessun altro con cui parlare, ti assicuro, anima mia, che nulla di buono può succedere; almeno per una come me. Il che vuol dire per una uguale a tutti gli altri - niente di più, niente di meno – che si trova dentro una scatola. Poteva essere questa come un’altra – né meglio, né peggio – una scatola resta pur sempre una scatola!
Che mi importa poi? Mi trovo qui dentro io, adesso!
E quando è ancora presto per andare a dormire può succedere, questo è il guaio, sorella, che per un attimo te ne rendi conto. Non so per quale strano sortilegio. So che è assurdo. Come se un quadro della mia stanza si accorgesse consapevolmente di essere appeso lì da anni e si guardasse intorno come per la prima volta e scoprisse i muri, le porte e le finestre e realizzasse che per tutto quel tempo si era concentrato solo sulla sua funzione: si sentiva importante perché lui abbelliva le cose e la gente si fermava a guardarlo. E lui non aveva mai guardato! Che stupido era stato.
Chissà poi se non è mai successo tutto questo a quel quadro, chi può dirlo? Comunque, ho controllato: che sia consapevole o meno, è ancora lì, appeso al muro, non si è spostato neanche di un po’. Beh, non posso biasimarlo visto che anche io sono ancora qui.
Certo, con i piedi riesco a muovermi da una parte all’altra, ma sempre e solo dentro la scatola, come un canarino in gabbia. Li hai mai visti? C’è chi dice che anche se apri la porticina, loro non escono perché sono nati lì dentro ed hanno dimenticato che posseggono le ali per volare. E dicono anche che, se volessero comunque provare a vivere fuori dalla gabbia, morirebbero perché incapaci di sapersela cavare da soli in uno spazio infinito.
Eppure altri dicono che le gabbie sono sempre aperte. Ma non quelle degli uccelli. Parlo delle scatole come quella in cui sono io, capisci? Loro vorrebbero convincermi che la scatola nella quale sono imprigionata in realtà non esiste, che è solo un’illusione percettiva! Loro dicono che sono LIBERA, ti rendi conto?
Beh, il mio quadro cadrebbe a terra senza il muro. E' vero anche, però, che nessuno dice che debba restare appeso, anche se tutti gli altri quadri lo sono!
Insomma, adesso è il momento di andare a dormire.
Meno male, anima mia. Anche questa volta ho trovato qualcosa che mi tenesse occupata.
Pericolo scampato, anima mia!

sabato 10 gennaio 2009

La scatola dei racconti

Non scrivo più racconti e poesie. Chissà come mai...
In un momento di raptus ho aperto uno scatolo di cartone, finemente coperto da originale drappo indiano, che faceva da tavolino per gli incensi oramai da qualche anno. Dentro c’erano parecchi floppy-disk ed uno speciale lettore per floppy con porta USB che mi ha permesso di utilizzarli di nuovo.
Ci sono pezzi di cose così passate che mi sembra di avere 300 anni! Sono i file con i miei racconti e le mie poesie. Ogni icona, un pulsante “accendi ricordi”.
Così alla fine, come una paziente di agopuntura, mi sono ritrovata puntigliosamente infilzata da minuscoli aghetti su tutto il mio corpo. Non so ancora decidere sull’efficacia di questa antichissima tecnica di guarigione orientale (mio padre, sebbene integralista occidentale, grazie ad essa ha smesso di fumare) ma di sicuro questa notte il mio bel subconscio né avrà di cose da elaborare coi sogni.
Intanto mi stupisco di quello che scrivevo. E mi piace quello che leggo: questi testi evocano momenti di vita ben precisi ed intensamente vissuti, ma non li sento più, appartengono ad una Stefania che vedeva con gli occhi delle emozioni e che di queste si alimentava e ne veniva sopraffatta. Appartengono ad una Stefania che non aveva vissuto ancora tante cose e che tante ancora non le riusciva a capire. Adesso non è più così, forse comprendo un po’ di più di allora ed ho più esperienza. Ma, nella verità dei fatti, non scrivo più racconti e poesie...

giovedì 8 gennaio 2009

Mi faccio un tahin

Quando la mattina piove e non si vede neppure la montagna… quando metto un dito fuori dal mio caldo piumone e sento l’umidità che c’è fuori. Quando so già che mi bagnerò le scarpe ed i piedi sulla solita pozzangherettta bastarda che si forma proprio davanti allo sportello della mia automobile. Quando tutto il mio essere vorrebbe restare a letto e lasciare tutto l’universo fuori dal mio quadrato ortopedico, c’è solo una cosa che mi aiuta ad alzarmi: il tahin!
Mi basta solo pensare alla parola “tahin”, che mi ritrovo già in vestaglia e ciabatte ad accendere la stufetta della cucina e a canticchiare un motivetto allegro fra me e me. Mi accorgo che quando canticchio sono più in contatto con me stessa, il cervello è in stand-by ed il corpo si muove quasi in automatico, sereno e senza stress.
E poi la canzoncina che farfuglio, spesso incompleta e con parole inventate, è sempre in accordo con i sentimenti profondi che scorrono in quel momento. E i sentimenti mi rivelano con gentilezza i sussurri del cuore, le sue sensazioni, i suoi dolorini e i bisogni incompresi o inascoltati… che tenerezza che mi fa questo candido bambino.
Si, il tahin, è proprio un abbraccio affettuoso e morbido verso una dolce creatura che, proprio perché ancora sonnecchiante, suscita ancora più tenerezza e benevolenza.
I segreti di questa incredibile sostanza cremosa, mi sono stati svelati poco tempo fa da una coppia di amici insospettabili. Ero a cena da loro quando, a fine pasto, parlocchiando del più e del meno, siamo finiti a parlare del miele dell’Etna. “Hai mai provato il miele di castagno con il tahin spalmato sul pane tostato a colazione?”. “Il ché?” ho risposto io. Ed in men che non si dica mi sono ritrovata tra le mani una fetta di pane di casa caldo con spalmato sopra uno strato di miele di castagno ed uno di tahin.
Già il profumo faceva intuire la bontà, ma la mia testa cocciuta era riluttante: “ma che è, burro di arachidi?” ho detto perplessa. ”Assaggia, assaggia” mi hanno risposto. Da quel momento in poi ricordo solo il sapore in bocca e lo stupore stupefatto di tutte le papille gustative in pieno delirio gastronomico.
Quindi adesso mi faccio un tahin. E per chi non lo avesse mai assaggiato, ricordo che va assunto con miele di castagno su fetta di pane possibilmente di semola o integrale o di segale, rigorosamente riscaldata.
Inutile dire che, questa meravigliosa crema di sesamo, si presta a numerosissime ricette sia dolci che salate per condire il pane, ma anche la pasta, il tofu, il cavolo cappuccio e molto altro ancora.

mercoledì 7 gennaio 2009

Elettricità elettiva

Steiner dice: …amiamo forse una persona, oppure la odiamo, o, senza arrivare a questi estremi, proviamo per lei simpatia o antipatia; ma non andiamo a fondo, le passiamo accanto e lasciamo che faccia altrettanto…
Mi ha scritto un mio amichetto. Quando ci siamo incontrati, neanche mezzo anno fa, sono scoccate parecchie scintille tra noi. Ma, stranamente, questa attrazione non posso dire che fosse di tipo fisico, bensì fortemente energetica. Infatti, interessava soprattutto la corrente elettrica che attraversava i nostri corpi quando ci avvicinavamo. Credo che quelli che ci stavano vicino sentissero chiaramente il BUZZ BUZZ che scaturiva dai contatti elettrici dei nostri corpi.
La mia vocina pedante mi chiede: “ma che c’entra Steiner in tutto questo?”. Un bel nulla, cara scassa palle; proprio un bel nulla. Come del resto accade ogni volta che facciamo citazioni illustri pensando di comprendere appieno e diffondere nel modo corretto il pensiero di qualcun altro… Ma che ne sai tu, infatti, di quale mondo sottende una frase del tipo “I live you my dream”? Pazzesco! Volevo citare Nelson Mandela e riporto invece l’ultima frase di Osho prima di morire… (Freud aiutami tu!).
Credo, al contrario, che l’alchimia delle parole – quando sono frutto di profondi movimenti di pensieri e di vissuti di persone diciamo, “speciali” – riesce come per magia a risvegliare qualcosa di profondamente vero nelle nostre anime. Magari non ha nulla a che vedere con chi l’ha scritto o detto e con ciò che voleva dire o, ancora, con il contesto di riferimento. Eppure - chissà perché? - quelle parole muovono qualcosa nel nostro stomaco, alimentano il fuocherello che è dentro di noi e ci spingono a riflettere, ad indagare, a farci delle domande.
Peccato che, passata la corrente elettrica ed anche un po’ di tempo, la porta si sia chiusa e, malamente, ognuno di noi sia rientrato nella propria gabbia della personalità. Ognuno con il proprio numero, e basta!
La meraviglia, di solito, dura poco. Poi arriva il torpore della nostra identità e la visione si scioglie.

martedì 6 gennaio 2009

La gioia dell’amore

No, non è poi tanto bello (anche se il suo sorriso e quel naso greco mi aprono al Paradiso), non è ricco, né tantomeno di buona famiglia, non è affascinante e viaggia su una Ford scassata del '92. Non facciamo sesso e non ci vediamo spesso oramai…ma quando ci incontriamo, oh si, si si! Quando ci incontriamo è come se Dio mi confermasse di essere la sua figlia prediletta e che tutto è perfetto e meraviglioso in me.
Poverino, non è colpa sua, non lo fa apposta. Non è che vuole essere adulatore o compiacere a tutti i costi, non è che mi ama segretamente o cose del genere… è che lui non sa fare altro che amare gli altri. E’ la sua dannazione. A proposito non è neppure un prete (di lui parlerò un’altra volta) è un ragazzo normale, forse con un leggero retrogusto di malinconia.
Gli sono stati donati degli occhi magici che mostrano l’altro per quello che è, sempre e comunque, e lui vede, sempre e comunque, la nostra anima, la parte più delicata e fragile, quella parte, appunto, che ci rende unicamente belli, meravigliosi e amabili.
Quando siamo insieme le parole scivolano come su di un fiume, si respira aria pulita e profumata ed è impossibile elaborare schemi di comportamento, maschere e illusioni: sei quello che sei e vieni inondato da una leggera doccia di te stessa, bella e basta!
Puoi dirgli anche le cose più terribili e disgustose, puoi raccontargli del tuo odio e della tua rabbia, delle tue meschinerie e dei tuoi giochi di manipolazione, ma alla fine lui ti sorride e dice: come farei senza di te… ed il veleno si trasforma in miele.
Niente è impossibile, né troppo assurdo, né inappropriato per PU, perché tu sei la sua meraviglia!

sabato 3 gennaio 2009

Presentazione

Ciao da Stefania, vivo in una villetta immersa nel verde con un cane, qualche gatto, diverse galline ed un numero sconfinato di uccellini e zazzamite che hanno fatto del mio tetto la loro casa. Cosa sono le zazzamite???? Niente di illegale o dinamitardo, ma solo innocui quanto orripilanti animaletti a quattro zampe chiamati volgarmente gechi. Adesso sono in letargo e molti, ho scoperto, sonnecchiano proprio sulla mia testa. Insomma, come Heidi dalla sua baita in montagna, ogni mattina apro la finestra e, zàcchete, mi trovo di fronte il meraviglioso dono che la natura ha fatto al Mediterraneo, la mia piccola "alpe" innevata che si chiama Etna. Che spettacolo!
Certo se abbasso lo sguardo di pochi gradi mi accorgo delle numerose case abusive sparse qua e la, e se andassi giù ancora un altro po' il mio sguardo si imbatterebbe nella trafficata provinciale che serpeggia proprio sotto la mia baita di periferia, ma perché guardare in giù? Allora, tanto vale non alzare proprio la testa e concentrarsi sulle proprie unghie dei piedi!!! E invece no! L'uomo ci ha messo miliardi di anni per assumere l'attuale posizione di bipede intelligente e non sarò certo io a promuovere l'involuzione involutiva verso il quadrupedismo!
Ecco perché esalto le meraviglie di questa mirabile esistenza e le scrivo per esteso, una ad una, per come mi vengono. Ad esempio: "stavo sotto ar tram" quando ho cominciato a scrivere questo delirio, ma poi le mie stesse dita, traditrici della mia stessa mente che crede di controllarle, hanno cominciato a pigiare i tasti saltellando in modo sconsiderato e adesso sorrido e ammicco spensierata come una fatina dispettosa. CHE MERAVIGLIA.